Elly Schlein ora guida il PD: una conferma della linea politica dei Dem

Vi sono state le elezioni interne al partito per la scelta del nuovo segretario del PD.
C’era qualcuno che si aspettava qualcosa di rivoluzionario? Qualcosa di nuovo? Qualcosa che facesse esclamare “Tutto sta cambiando”?
Se questo qualcuno ci ha creduto – ma ne dubito fortemente – ha, certo, dovuto ricredersi: si sarà svegliato, abbandonando i propri sogni, ed aprendo gli occhi sulla amara realtà.
Intanto fra i due candidati non vi era, sostanzialmente, alcuna differenza: entrambi erano fedelissimi del partito e suoi meticolosi rappresentanti. Già nella scelta dei candidati, dunque, c’era poco di cui entusiasmarsi.
Alla fine ha vinto la Signora Elly Schlein, cittadina italiana, ma anche svizzera e statunitense: già si presenta bene.
Eleggendola il PD ha confermato (ma c’era bisogno di conferme?) la sua linea, che poi era quella di Letta e quella di tutti i suoi predecessori.
Hanno scelto una donna in carriera, un personaggio di successo, una figura che ispira ammirazione e riguardo e che rimanda una idea di stabilità: ecco cosa rassicura il PD, ecco cosa si cercava.
Perché i Dem sono questa cosa da anni, ormai: sono un partito che non ha più nulla a che vedere col vecchio PCI. E ne sono sfacciatamente fieri. Sebbene dicano e ridicano di “conservarne l’eredità”.
Il loro obiettivo, attualmente, è raccogliere i consensi della borghesia, dalla più piccola alla più alta, ignorando la popolazione più povera.
Al tempo: il PD sostiene, sempre, fortemente gli operai nelle loro lotte, specie attraverso i sindacati, che sono cosa loro; ciononostante si preoccupa solo di quei lavoratori che il lavoro già lo hanno ottenuto, ma lascia naufragare chi lo ha perso.
Non sono il partito degli ultimi, dei bisognosi, dei poveri, di chi arranca per un tozzo di pane, degli “umiliati e offesi” descritti da Gogol: il PD è il partito del Capitale, dei professionisti, dei lavoratori che hanno, a vari livelli, buoni posti di lavoro nell’industria.
E non dico niente di nuovo: dico cose risapute.
Ora, credo, e lo dico con amarezza, il processo di “americanizzazione” di questa penisola è completo: vi sono due blocchi contrapposti, destra e sinistra, le cui differenze si esplicano solo in scaramucce verbali e aggressività che si mostrano in Parlamento e in Senato, durante le discussioni, per il piacere della gente che guarda le loro dirette. Questi scontri (si fa per dire) proseguono nei programmi televisivi e radiofonici  (altra bella arena in favore del pubblico), sui giornali e, ovviamente, in rete. Ma è tutto qui: non sono, concretamente, realmente, dissimili l’uno dall’altro. Ed è così perché entrambi vogliono una cosa sola: vogliono mantenere lo status quo, e tutto deve rimanere come è adesso.
Ed è la stessa cosa che accade negli USA: perché vi sono forse differenze fra Democratici e Repubblicani per i nipotini dello Zio Sam? Proprio nessuna! Guardate Joe Biden: si è rivelato più feroce e spietato di Trump, che tutti dipingevano come il Male assoluto. Biden sta portando l’Europa (prona e sottomessa), ed anche il suo stesso paese, verso la Guerra Mondiale, verso la catastrofe nucleare. Il pianeta potrebbe esplodere in mano a questi scriteriati. Ed Elly Schlein, sorridente per la sua vittoria, con la cittadinanza italiana, ma anche svizzera e, soprattutto, statunitense, è un punto di riferimento rassicurante per la bandiera a stelle e strisce.
Mi congratulo con la Signora Schlein per la sua vittoria.
Mi congratulo col partito.
Continuate così che si andrà sempre dritti: dritti verso l’inferno.

Francis Allenby

“Giustizia per Taranto”: il 25 febbraio si parla di una città che può rinascere

 

 

Ieri, 25 febbraio, nel Centro Polifunzionale “Giovanni Paolo II” del rione Tamburi, si è tenuto un incontro organizzato da “Giustizia per Taranto”, incentrato sulle tematiche ambientali. Il meeting è stato fissato per questa data, e non a caso: proprio l’anno scorso, in città, ebbe luogo un imponente corteo che si snodò lungo le arterie principali del borgo, ed a cui partecipai anche io, con entusiasmo e speranza.

https://malintenzionati.wordpress.com/2017/02/26/il-corteo-del-25-febbraio-a-taranto-i-cittadini-si-muovono/

Nel corso del dibattito, davvero molto interessante, si sono potuti udire molti pareri inerenti la questione Ilva ed il caso Taranto; tuttavia, ogni discorso, seppure si ponesse l’obiettivo di analizzare aspetti diversi dell’argomento, concordava su un punto: il siderurgico, così come è, costituisce un rischio per la cittadinanza, ed è per questo che l’approccio attuale con le acciaierie locali va cambiato radicalmente.

Il primo intervento è stato della dottoressa Maria Grazia Serra, Presidente dell’Isde “Medici per l’Ambiente Taranto”. La dottoressa Serra ha evidenziato come, benché la produzione dell’opificio, attualmente, non sia per nulla elevata, non si sono, nondimeno, ridotti i pericoli, reali e concreti, per la salute dei tarantini. “Taranto”, ha detto la dottoressa “è il maggior laboratorio d’analisi d’Italia”, facendo pertanto riferimento alle molte ricerche, ai test, alle analisi scientifiche e mediche condotte sulla popolazione locale in un arco di tempo che va dagli anni settanta ad oggi. Le patologie riscontrate, ormai è risaputo, sono quelle ematologiche (leucemia, leucocitosi) e cancerogene (linfomi, carcinomi) e tutta la lunga serie di disfunzioni organiche ad esse collegate; oltre a queste c’è un elevato aumento di bambini che nascono con menomazioni e alterazioni morfologiche evidenti: sono stati riscontrati, fra l’altro, un crescente numero di casi di autismo. “Molto spesso noi medici ci esprimiamo con formule dubitative a questo riguardo: potrebbe essere, è probabile che la causa scatenante sia dovuta all’inquinamento; malgrado ciò questo è un lessico che noi adoperiamo in quanto parte del nostro criterio deontologico e che nulla toglie alla sostanza dei casi in esame.”

A seguire, l’esposizione di quei fatti strettamente in relazione con le vicende giuridiche dell’Ilva, e che sono stati illustrati dettagliatamente dal giornalista Mimmo Mazza. L’uditorio ha rivissuto, tramite il racconto di Mazza, tutta una serie di difformità dai dati che venivano riportati dagli organi ufficiali, di discordanze, di vere e proprie ‘note stonate’ che hanno caratterizzato questa intricata vicenda. Si è parlato di AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) disattesa e addirittura contraffatta dalla precedente dirigenza dell’Ilva ed anche dalla gestione commissariale. Il contratto Mittal-Ilva che è tenuto secretato dal governo viene, in realtà, fuori in tutta la sua amara realtà: si tratta solo di un contratto di affitto da parte della Mittal e le sorti del siderurgico, da questo accordo, emergono nella loro impietosa inconsistenza.  I 30 miliardi attesi dalle parti civili, nonché tutte le somme previste per le bonifiche, sarà possibile usarli solo ed esclusivamente all’interno del perimetro dello stabilimento. “I soldi destinati a compensare i danni subiti da Taranto, Taranto non li avrà MAI, poiché saranno, ineluttabilmente, appannaggio della gestione commissariale.” Sono previsti otto miliardi per assicurare la continuità operativa dell’Ilva: di questi sei se ne andrebbero unicamente per coprire i parchi minerali, per eliminare la superficie contaminata e per risanare la falda.
È stata, poi, la volta dell’ingegner Barbara Valenzano, Direttore del Dipartimento Infrastrutture e Ambiente della Regione Puglia, nonché esperta di processi industriali. L’ingegner Valenzano ha disegnato uno scenario futuro che pone l’Ilva in un contesto sostanzialmente durevole, solo mutato considerevolmente in quanto incentrato su una lavorazione decarbonizzata. “Tutti coloro che sanno osservare questa realtà si augurano la chiusura dell’Ilva; ciononostante le disposizioni richiedono una produzione che sia all’interno di certi parametri, con un opportuno lasso di tempo che poi porti alle bonifiche ed alla riconversione.”

L’ultimo contributo è stato portato da Angelo Consoli, Presidente del Centro Europeo per la Terza Rivoluzione Industriale. Consoli ha esordito parlando di ‘pensiero fossile’, ossia di quella concezione che vede come fonti di energia quelle che provengono puramente dal sottosuolo: il carbone, il petrolio o il gas, senza considerare le fonti di alimentazione ecologiche e rinnovabili come quella solare. In ogni caso, privi di una vera e propria programmazione nel tempo, non vi sarà mai un cambiamento positivo dal punto di vista ambientale: si devono cominciare ad ampliare le proprie vedute partendo dal presente per beneficiare di effetti tangibili fra venti o trenta anni.

A moderare l’incontro c’era Massimo Ruggieri; nella sala, fra gli ospiti, vi erano anche il giudice Patrizia Todisco e l’Assessore all’Ambiente e Salute del Comune di Taranto, dottor Rocco De Franchi.

Ho apprezzato molto ognuno dei discorsi e di coloro che li hanno fatti, perché ognuno ha offerto un punto di vista diverso e utile.

Sono stati nominati, nel corso dell’evento, i nomi di personaggi politici che hanno caratterizzato, nel bene e nel male, la nostra storia di centro che combatte contro l’inquinamento da troppo tempo, come Matteo Renzi e Carlo Calenda.

Mimmo Mazza ha letteralmente scoperto gli altarini di un potere, spesso omertoso, che gioca sulla pelle dei cittadini, mentre Angelo Consoli ha saputo portare, con veemenza e decisione, delle possibilità energetiche alternative e affidabili.

Ancora una volta si profila una speranza per Taranto, che non può prescindere dalla chiusura degli impianti e dalla riorganizzazione totale del territorio.

A Taranto, nel 1960, è stato tolto tanto dal punto di vista del patrimonio naturale, storico, paesaggistico: l’auspicio è quella di poter recuperare ciò che si è perso.

 

 

 

 

 

Se mi discrimini io ti discrimino

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La gente giudica per stereotipi, ed è inutile negare l’evidenza.

La gente vede una persona per strada che si muove e parla in un certo modo e la classifica, senza sapere nulla sul suo conto.

Come è possibile tutto questo?

Non sono un sociologo e neppure uno psicologo o un antropologo, per cui non posso dare spiegazioni scientifiche su questo argomento: quello che mi interessa, qui, è analizzare il comportamento personale di fronte a questo fenomeno.

Una persona con disabilità viene classificata senza pensarci due volte come “persona con menomazione”: ci si sofferma, per caso, a riflettere sulla sua cultura, sulla sua sensibilità o sui suoi sentimenti? Assolutamente no: ha una menomazione, pertanto è inferiore.

Un anziano è visto, nella maggioranza dei casi, come un peso di cui liberarsi al più presto, nel migliore dei casi affidandolo a qualche badante, in casi estremi a qualche “struttura preposta”.

Al bar, o in qualunque altro luogo pubblico, solo sentendo parlare un avventore, si è portati a catalogarlo, ignorando totalmente la sua vita, magari piena di sofferenze e problemi, e la sua storia privata.

Ma c’è di peggio. A volte si incrocia qualcuno, mentre si cammina, e avviene una cosa stranissima: “Quella persona è stupida”, decide, arbitrariamente l’altro passante. Il motivo, o i motivi, sono conosciuti solo da chi ha formulato questo giudizio abusivo. E l’elenco delle ripartizioni è lungo: qualcuno (visto per caso, una volta sola!) può divenire, di volta in volta, cattivo, ignorante, disonesto e quant’altro.

Ebbene, questi giudizi sommari non mi hanno solamente stancato, ma mi hanno saturato, nauseato, schifato. A quale punto? Fino ad un punto inimmaginabile e perfino illogico. Ma non c’è nulla di logico nell’essere umano. Infatti molti sono convinti, da pacifisti seri, che non si debba rispondere a discriminazione con discriminazione: sono convinto, invece, del contrario, arrivati a questa parte del percorso. La mia reazione è da “cattivista” , ossia il contrario del termine dispregiativo “buonista”, che viene usato in maniera offensiva dalla destra per quelli di sinistra come me; in seconda battuta questo significa, anche, che sono un uomo di sinistra molto sui generis, se reagisco al male con il male. Del resto non avviene la stessa cosa in molte altre circostanze? Il timore immotivato che alcuni hanno per i cani o per certi insetti si spiega con un evento traumatico iniziale: se ci si fa male con una roncola, poi si sta alla larga dalle roncole.

Tu mi discrimini? Io discrimino te e tutti coloro che appartengono alla tua genia: parto con la classificazione anche io, cosa nella quale mi rifaccio anche al mio passato di archivista.

Sento già qualche voce dire: “Ma allora sei stupido? Qualcuno ti fa del male e tu reagisci adoperando le sue stesse armi ed isolando, a priori, persone che potrebbero essere anche innocenti? Ma che diavolo dici?”

Vero. Ho già detto più sopra che, in questo caso, non c’è niente di logico, ma solo di istintivo.

Però mi va di fare quello che mi pare, anche sbagliando. E poi chi è pronto a farmi queste obiezioni non mi sta, a sua volta, giudicando? Certo, ha più elementi per giudicarmi, però lo sta facendo in ogni caso.

Ecco perché detesto, quasi sempre, la compagnia dei miei conterranei e preferisco quella di coloro che vengono dall’altro capo del mondo: tale è la delusione che mi hanno dato quelli che si fregiano del titolo di “italiani” (cittadinanza nella quale non mi riconosco).

“Ma tutto il mondo è paese!” interloquisce la stessa persona che prima mi ha dato dello stupido. Verissimo, ma vivo in questo paese, e questo paese – lo ripeto – non mi piace.

Fino ad ora non ho conosciuto nessun sudamericano o africano o indiano che mi abbia trattato come mi hanno trattato quelli con i quali ho vissuto finora, e vi posso assicurare che ne ho conosciuti tanti anche di indiani, sudamericani ed africani.

Il male di giudicare arbitrariamente, fatevene una ragione, appartiene ai popoli occidentali, quelli “civilizzati”: è un retaggio di una certa morale cristiana e bigotta. Se poi certi atteggiamenti sono stati, nei secoli, assorbiti anche da altri popoli, questo dipende dalla colonizzazione che hanno subito proprio da parte degli occidentali.

Da anni, ormai, mi batto contro la violenza di ogni tipo: la criminalità comune ed organizzata, ma anche la microcriminalità, il bullismo e il mobbing, che possono sembrare minori rispetto alle prime, ma non lo sono.

In definitiva non mi piace, in linea di massima, la vecchia Europa, e soprattutto il posto in cui vivo: non mi piacciono i paesi occidentali ed occidentalizzati, come gli Stati Uniti: c’è ancora speranza per l’Africa e tutti gli altri paesi in via di sviluppo, se verranno liberati dalla fame, dalle guerre e dalla carestia nelle quali li ha costretti la popolazione europea. E riaffermo, con pervicacia, che il mio approccio con questo tema è del tutto personale, totalmente illogico, estremamente maligno e ribelle e, per certi versi, anche deprecabile: non fateci caso, è la mia natura malata.

La rapida ascesa e la disastrosa caduta del Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti

 

…Era cominciato tutto su un Apecar: un veicolo piccolo, semplice, modesto: un simbolo di protesta che veniva dalla gente, dai lavoratori. Tuttavia, come dico sempre, il facile entusiasmo popolare può spesso portare (come tante volte è successo in passato) a totalitarismi inaccettabili, a negazioni tragiche della libertà.

È proprio quello che è successo al Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti: nato a Taranto qualche anno fa, come movimento di protesta di alcuni operai dell’ILVA di Taranto in opposizione all’inquinamento prodotto proprio dal siderurgico.

Il Comitato vide la luce durante un comizio dei sindacati tenutosi in città, in Piazza della Vittoria: essi piombarono con irruenza nel bel mezzo della manifestazione, gridando slogan contro la direzione dell’azienda e contro i rappresentanti di CGIL, CISL e UIL.

Io fui fra quelli che accolse questa loro venuta con gioia e ne scrissi, allora, sul sito di GIRODIVITE: finalmente gli operai, o almeno alcuni fra loro, avevano preso coscienza. Ma mi sbagliavo, perché si può sbagliare in questi casi, scambiando una moneta da un centesimo per la luna.

Ho avuto modo, almeno in una occasione, di frequentarli, di conoscerli e l’impressione che ne ebbi fu negativa. Col tempo ho incontrato altra gente che ha fatto addirittura parte di quel gruppo e che ne è uscita, delusa e sdegnata dal loro modo di fare aggressivo e assolutista.

Il Comitato, costituitosi da poco, si ritrovò, dall’oggi al domani, a gestire la festa del primo maggio a Taranto, coordinata da un ragazzotto che fa l’attore ed il regista di nome Michele Riondino, il quale, incensato a destra e a sinistra, ora girella felice attorno al monumento di se stesso (e questa è una citazione da un articolo di Enzo Tortora che mi è sempre piaciuta).

In seguito questo Comitato ha cominciato a sentirsi investito di una missione: ha avvertito il dovere, impellente, di presentarsi, costasse quel che costasse, come forza politica alternativa al governo della città jonica. Per farlo ha deciso di allearsi con il Movimento Cinquestelle, di Beppe Grillo.

Persone che erano nel Movimento hanno parlato di una vera e propria diaspora che si è verificata all’ingresso dei Liberi e pensanti: i pentastellati già di loro sono una realtà politica piena di contraddizioni e che sinceramente non gradisco: ma con l’aggiunta di questo Comitato cittadino il cocktail è diventato imbevibile. Le loro riunioni hanno tutto il sapore degli incontri di una setta segreta: ogni obiezione viene zittita sul nascere con l’accusa di disfattismo, il pensiero politico deve essere uno e si deve omologare – volente o nolente – a quello della maggioranza, ossia a quello dei più forti, che sanno alzare la voce e lo fanno sempre.

In sostanza l’atteggiamento del Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti è quello di chi si è ubriacato di quella gloria e di quel consenso locale che gli è stato tributato dalla solita massa amorfa che vedeva in loro i paladini del popolo: ma questo è stato un destino che ha anche caratterizzato dittature feroci quali il fascismo di Mussolini, il nazismo di Hitler e il Comunismo (travisato) di Stalin.

È un gruppo che, fino ad oggi, conta al suo attivo moltissimi attacchi provenienti proprio dalla parte che essi dicono di rappresentare: critiche che vengono dalla sinistra, dagli ambientalisti, dai poveri e da coloro che si sono ammalati a causa dell’ILVA, di leucemia o di cancro. Nonostante queste aspre riprovazioni il Comitato ha continuato, imperterrito e presuntuoso, nel suo percorso: a testa alta, sdegnoso di ogni reclamo, convinto di essere nel giusto, addirittura di rappresentare l’unico giusto possibile.

Non a torto essi vengono paragonati al movimento politico AT6 per Taranto di Giancarlo Cito, anche esso nato, negli anni novanta, sulla scia di proteste qualunquiste e di destra: ora sembra proprio che il Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti non sia altro che la faccia opposta della medaglia che anima gli scontenti della città, che fino ad ora si sono radunati sotto le bandiere di AT6. All’interno del Comitato si trovano persone che hanno sviluppato un pericoloso, deleterio e violento culto narcisistico della personalità: la ragione sta solo da una parte, la loro, e perfino riconoscendosi in ciò che dicono si devono fare costantemente i conti con l’approvazione di chi di dovere: se vuoi essere dei nostri devi rinunciare del tutto a te stesso, fino al punto di umiliarti e perdere perfino la dignità.

Alla fine è venuto fuori che anche ciò che, inizialmente, mi aveva appassionato in loro era solo un abbaglio: “Chiudere l’ILVA per fare una riconversione totale? E il nostro lavoro chi lo tutela?”

Stando così come stanno le cose, conoscendo come conosco i miei concittadini e di cosa siano capaci, gli individui di cui ho parlato potrebbero anche vincere: la loro vittoria equivarrebbe, però, alla instaurazione di una vera e propria tirannia, ed allora sarà mio dovere – come quello di ogni altro cittadino che ami la libertà – combatterla ed opporvisi.

 

 

 

 

UN MANAGER SI OCCUPERÀ DELL’ASPETTO LUDICO DELL’ILVA

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Sono tante le notizie che si raccolgono durante un corteo a favore dell’ambiente.

Fra le altre una mi ha colpito in maniera particolare.

L’ILVA di Taranto ha deciso che il dopolavoro dei suoi operai languiva ed andava vivificato un po’: ragion per cui ha assunto un manager, il quale verrà da non so quale località, per elargire le sue prestazioni professionali. Costui, giustamente e lautamente retribuito, avrà, dunque, il compito di occuparsi dell’”aspetto ludico dell’ILVA”, con buona pace di tutti.

Lascio, a tutti coloro che avranno la bontà di leggermi, la libertà di commentare, quanto e come lo vorranno, questa novità.

IL DRAGO DI SCHWARZ E LE DISSIMULAZIONI DELL’INFORMAZIONE DI POTERE

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Voglio ricordare brevemente un’opera teatrale, profondamente simbolica di un certo modo di gestire le informazioni e le notizie, anche quelle storiche: l’opera è la celebre IL DRAGO, di Evgenij Schwarz, e le sue implicazioni politiche sono un pugno in faccia alla macchina della notizia al servizio del potere.

In questa rappresentazione scenica il cavaliere Lancillotto uccide un mostruoso drago che tiranneggia la popolazione di un villaggio, di cui è anche il regnante e tiranno. Ma, dopo averlo ucciso, le stesse persone che servivano, viscidamente, il drago, si appropriano di questa impresa: il cavaliere Lancillotto non ha ucciso il drago, ma sono stati proprio loro a farlo.

Questa trama, che fa rabbia a chi la ascolta e la vede concretizzarsi sul palco è, purtroppo, una cosa consueta per chi tira le leve del potere. Vero è che la storia la scrivono i vincitori, ma è vero anche che alcune vittorie sono state usurpate, certe fame rubate.

È il caso del recentemente scomparso Dario Fo, osannato come paladino della sinistra, il quale in realtà, in gioventù, si era unito alle fila degli aderenti alla Repubblica Sociale di Salò; o come Eugenio Scalfari, il fondatore del giornale Repubblica, ora divenuto difensore e protettore del progressismo, di cui si conservano ancora le sue foto in camicia nera e fez, ritto davanti al plotone, mentre riceve onori. Molti artisti, fra i quali Renato Guttuso, poi candidatosi nel Partito Comunista, si guadagnarono alti riconoscimenti nel loro campo durante il Fascismo. Lo stesso Giorgio Napolitano ebbe a dire: “Certo, la Resistenza è stata una cosa bellissima. Ma io stavo dall’altra parte a quell’epoca”. Il defunto – ed odiatissimo – presidente emerito della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro rimase fedele al Fascismo fino all’ultimo. Quando arrivò, finalmente, la Quinta Armata del Generale Clarke egli butto la divisa di orbace alle ortiche e fucilò, senza troppi scrupoli, alcuni combattenti che avevano, fino al giorno prima, condiviso le sue stesse idee. Per contro veri partigianai, figli di partigiani, che avevano subito l’onta della tortura da parte dei repubblichini, sono stati infangati da una nuova sinistra che soffre di smemoratezza e grossolanità: ed è il caso della grande, indimenticabile Oriana Fallaci.

Gli ingranaggi dell’artifizio propagandistico non finiscono mai di macinare melma: sono sempre in movimento. Per guadagnare credibilità si deve sporcare e disonorare qualche innocente: magari la stessa vittima. Disumano ed ignobile, ma ancora di gran moda.

 

La mafia uccide solo d’estate: i graffiti dolci-amari di Pif sulla sua terra

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Ieri, su RAI1, il primo episodio della serie LA MAFIA UCCIDE SOLO D’ESTATE, tratta dall’omonimo film di successo scritto, diretto ed interpretato da Pif. Pif è lo pseudonimo di Pierfrancesco Diliberto, classe 1972, un attore, autore e regista che ha cominciato nel gruppo delle IENE di italia 1 e che poi ha affinato, man mano, le sue qualità, fino a divenire un ideatore di programmi e, infine, un direttore cinematografico su sceneggiature di sua creazione.

La serie si avvale delle interpretazioni di molti attori e caratteristi che hanno contraddistinto il cinema di qualità di questi ultimi tempi; fra questi c’è Claudio Gioè, volto noto al pubblico televisivo per molte fiction sulla mafia.

La prima impressione che ho ricevuto da questo episodio pilota devo dire che è stata positiva. Avevo già visto con piacere il film ed ero incuriosito da questo nuovo format che sviluppava l’idea originale in puntate per il piccolo schermo.

Tutto sommato il ritmo è buono e non delude per coloro che hanno gradito l’esordio cinematografico di Pif; qui e là c’erano, certo, dei luoghi comuni, ma facevano parte dell’atmosfera di revival di quei tempi, ed è facile cadere in queste insidie, seppure divertenti.

Ho rivisto con gli stessi occhi del protagonista la figura di persone straordinarie come Boris Giuliano, l’indimenticabile vice-questore di Palermo negli anni di piombo: una figura adattata allo schema narrativo, tratteggiata con molta fantasia e ricostruzioni personali, ma nulla di offensivo, tutt’altro: questo ricreare il personaggio lo rende, anzi, più umano e più vicino a chi guarda; e non bisogna mai scordare che non esiste una ricostruzione, per quanto fedele, che possa darci la vera misura di un personaggio.

In questo Pif è stato bravissimo, così come lo è stato nel delineare personalità negative come Vito Ciancimino. Ciancimino emerge, dalle immagini di Pif, come una figura a tratti clownesca ed a tratti luciferina, come un boss dei film noir americani degli anni venti o come il noto Gambadilegno di Topolino. Questo negativamente leggendario sindaco di Palermo, un porco senza scrupoli che ha distrutto la legalità nella sua città, era ammanigliato con la mafia e con l’uomo del disonore Totò Riina. Ciancimino ha fatto saltare in aria molte ville storiche in stile Liberty di Palermo, per edificarvi palazzi da incubo a base di cemento inesistente ed amianto: è stato un distruttore, uno spietato palazzinaro, un avido sciacallo.

Ignoravo alcune delle cose che Pif rivela nel film e questo mi ha confermato che non si vive abbastanza per imparare.

Peccato che questo bravo autore non sia nato prima, altrimenti avrebbe potuto magari farci comprendere meglio alcune uccisioni rimaste irrisolte, come quelle del Presidente dell’ENI, Enrico Mattei, e del giornalista Mauro De Mauro.

Bravo Pif, continua così.

Moriremo sommersi dalla plastica!

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Il documentario che ho visto ieri sera su LA7 mi ha scioccato. Avevo visto già un film simile che si intitolava, BAG IT! Anche quest’ultimo trattava le stesse tematiche, ossia la preponderanza della plastica nella nostra vita e l’impatto negativo che questa ha sull’ambiente.

Sapevo già, quindi, che nel mezzo dell’Oceano Pacifico è nata una nuova isola: un’isola che, al momento non si trova sulle carte geografiche, pur essendo grande il doppio degli Stati Uniti, e che è composta solo da rifiuti di plastica.

Ero già a conoscenza del fatto che i pesci, i mammiferi del mare e le tartarughe si nutrissero della plastica che trovano nelle loro acque; non avevo ancora visto, però, dei cormorani morti che avevano il ventre pieno di oggetti in plastica di ogni tipo: plastica con la quale nutrono anche i loro piccoli!

Credo che la misura sia colma. Non possiamo più chiudere gli occhi su questo disastro ambientale, che dipende principalmente da noi e dalle nostre abitudini.

La bravissima ed impavida giornalista che conduceva l’inchiesta ha anche posto delle domande mirate agli industriali della plastica; questi, come c’era da aspettarsi, per tutta risposta, si sono inalberati ed hanno minacciato di denunciarla. Le loro motivazioni, a loro giustificazione, sono quelle di sempre: col nostro onesto lavoro noi diamo da mangiare ad un sacco di persone, per cui lasciateci in pace.

Mi sembra proprio di risentire i dirigenti dell’ILVA di Taranto e i loro portavoce, o portaborse: l’ILVA è una azienda utile: è più importante il lavoro dell’inquinamento.

E con questa tiritera la gente continua ad ammalarsi ed a morire, anche, di cancro e leucemia. Il ricatto del lavoro si presenta, dappertutto, con la stessa immagine: la prepotenza, l’arroganza, la insopportabile sicumera.

Certo che sono tutte persone perbene: quelli che sostengono queste industrie lo sono sempre, dall’ultimo degli operai al primo dei politici e dei manager. Io, e qualche altro, che sosteniamo il contrario, siamo dei reietti e delle persone socialmente pericolose. E a me piace essere un criminale di questo tipo, tanto.

Il terremoto che ha distrutto le regioni centrali: sarebbe stato meglio prevenire piuttosto che curare

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Il terremoto che ha colpito il sud dell’Umbria, l’Abruzzo e, in una maniera ancora più devastante, il Lazio e le Marche è stato un evento talmente drammatico e doloroso che se ne è sentito parlare in tutto il mondo, nei notiziari non solo locali ma internazionali.

Poteva un accadimento così grave non avere dei responsabili a tutti i costi?

Ed ecco che, allora, li si è cercati fra coloro che hanno costruito quelle case, quei palazzi che sono crollati, soccombendo alla forza delle onde sismiche. Ora pare stiano uscendo dei nomi, degli enti, pubblici e privati.

Vorrei suggerire a coloro che hanno aperto queste inchieste – certo in buona fede, come atto dovuto – di considerare anche la situazione nazionale, e non solo locale: se si andassero a scoprire gli altarini di tutte le città, di tutte le provincie, di tutte le regioni avremmo proprio delle gran belle sorprese. Scopriremmo che tutte, ma proprio tutte le abitazioni e gli edifici pubblici sono stati costruiti con più sabbia che cemento; scopriremmo che tutti, ma proprio tutti i palazzi vengono giù con un soffio, come quello che Ezechiele lupo usava per abbattere le case dei tre porcellini.

Le magagne, in definitiva, sono proprio dappertutto. La verità è che si deve cominciare a costruire usando materiali scelti e, soprattutto, si devono tenere in gran conto i moderni criteri antisismici; se non si farà così tragedie come quella che stiamo vivendo ora, in questi giorni, si ripeteranno ancora: ci ritroveremo, allora, di nuovo a piangere per delle persone che non ci sono più, per delle vite spezzate e per altre che sono rimaste per sempre segnate.

 

Dal Salento un momento di verità

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Ho scritto, qualche giorno fa, un post in cui lamentavo la mancanza della corrispondenza di ciò che si vede sul piccolo e grande schermo con la realtà di tutti i giorni. Aggiungevo che solo dall’estero ci è arrivato un buon modello, con un film di Ken Loach, regista inglese non nuovo a queste tematiche.

Ebbene, devo ammettere che, almeno in parte, mi sbagliavo: qualche piccola porzione di verità ancora sopravvive da qualche parte. Tuttavia, nel rispetto della tradizione, è solo la classica eccezione che conferma la regola.

La persona di cui parlo è il regista ed autore cinematografico Edoardo Winspeare, a cui mi legano la terra (lui è pugliese quanto me, salentino per la precisione) e, fondamentalmente, le idee, non ultima quella della battaglia ambientalista. Cionondimeno vi sono anche molte, moltissime cose che ci dividono e su cui non andremmo mai d’accordo, quali, ad esempio, il mio punto di vista sul Sud e sul suo riscatto storico e politico.

Ieri sera, però, è stata una serata magica, di piena estate, che ho voluto dedicare interamente alla visione di un film che lo meritava: il titolo era IN GRAZIA DI DIO, e devo dire che non mi ha deluso, perché Winspeare non delude mai: anzi ha riconfermato tutte le migliori aspettative.

Come la maggior parte delle storie di questo bravissimo regista anche questa era ambientata in Puglia e proprio nel Salento: tutti gli attori (rigorosamente non professionisti) parlavano la lingua locale: una lingua che, per me, ha una musicalità dolce e struggente e che mi rimanda echi della mia infanzia.

La vicenda si incentrava su quattro figure femminili: una donna anziana e le sue due figlie, una delle quali è madre a sua volta. La chiusura della fabbrica dove lavora quest’ultima viene ad essere l’elemento catalizzatore di tutta una serie di sentimenti e situazioni fini ad allora sopite: la sorella maggiore rinfaccia, a sua figlia ed a sua sorella, di essere fuori dal mondo e di inseguire dei sogni irrealizzabili, di successo e di sistemazione economica; d’altro canto la nonna si pone come una figura pacificatrice, dai tratti antichi e proprio per questo avvincenti: una persona che vuole riuscire a tenere unita la famiglia ad ogni costo. Ecco perché, insieme, decidono di tornare a quel lavoro che è stata una caratteristica di tutte le generazioni precedenti, prima di loro: riprendono, così, a coltivare il loro appezzamento di terreno, ad estrarre dal suolo quella ricchezza primitiva, originaria del raccolto contadino; riprendono l’usanza antica di allevare quegli animali che possono loro garantire, ogni giorno, latte e uova da rivendere: riscoprono anche il baratto, in caso di necessità. Compaiono, anche, personaggi che sembrano aiutare queste coraggiose salentine nel loro cammino irto di difficoltà; molti altri, in ogni caso, continuano a porre ostacoli sul loro percorso e le vicende sembrano accanirsi contro di loro. Per questo tutto quello che era stato conquistato con fatica, inizialmente, e che sembrava dovesse aggiustarsi, si perde di nuovo, inghiottito da nuovi dispiaceri e da nuovi dolori. Queste sofferenze paiono offuscare le gioie appena assaporate; ma la forza della madre sta nell’amore per le sue figlie: un amore che nessuna tempesta potrà mai abbattere.

Ecco perché la narrazione per immagini di Winspeare mi ha dato, ieri sera, qualcosa di speciale, qualcosa di incantato: la bellezza toccante e stupenda della mia terra: la sua vitalità, il suo sangue, la sua serenità e la sua profonda tristezza. Ho vissuto, ancora una volta, quelle esistenze vere, non edulcorate, di gente concreta, dagli spiriti fieri: gente che sa rialzarsi per combattere e insistere, senza arrendersi, facendo affidamento solo su se stessi. Ma soprattutto non ho visto gli ammiccamenti e la vuota retorica buonista che oggi la fa da padrone dappertutto; non ho visto borghesi vuoti e senza senso comune che superano tutto, concludendo con sorrisi radiosi e finti e pance piene: ho visto, finalmente, la pena, le lacrime, le case semplici, le tavole povere in mezzo a un campo, il cuore. Ho visto tutto questo e non un finale scontato: solo la speranza, che è quella che accompagna tutti, me compreso, in questa battaglia senza fine che è la vita.